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giovedì, maggio 24, 2007

"Spinti a sparire": il metodo del generale

Generale in pensione, ex paracadutista, ex combattente contro i nazisti, il vecchio porta una benda nera sull'occhio sinistro e a quanto pare è sordo. Dicono che è stato collaboratore di Massu, che ha combattuto contro i nazisti, che ha utilizzato ampiamente la tortura durante la guerra d'Algeria. Però ha anche combattuto contro i nazisti. Ci spiegano che il governo francese all'epoca aveva approvato le azioni degli squadroni della morte perché voleva che l'FLN fosse liquidato. E poi gli algerini hanno ammazzato altri algerini, per la precisione 45.000. E pensare, dice il giornalista italiano, che l'Algeria poteva diventare la Svizzera d'Africa.

Accanto a me è seduto Silvino, ex partigiano, presidente dell'ANPI. Ogni tanto si impenna, chissà se per qualcosa che è stato detto o perché punta un dettaglio, qualche fila più in là. Forse è semplicemente stanco, o stufo.

Il generale dice che non ha fatto volentieri quello che ha fatto, che ha scritto le proprie memorie perché la gente sapesse, che era necessaria una risposta francese al film di Pontecorvo e agli scritti di Mannoni.
Che la Battaglia d'Algeri è stata vinta dai francesi.
Sì, sottolinea con entusiasmo il giornalista italiano: la Battaglia d'Algeri è stata vinta dalla Francia, la guerra del Vietnam è stata vinta dagli americani. Sono state vittorie militari, ma sconfitte politiche. Dice. Il giornalista si mette a parlare di estremismo islamico, di gente che si fa esplodere in mezzo ai civili. Immaginate, dice, che questa sia una moschea affollata, piena di gente che sta pregando. Arriva uno, si ferma qui davanti e si fa esplodere. Gli fanno notare che in Algeria non andava così, ma è evidentemente colpito dalla potenza dell'immagine appena evocata, e dall'avere trasformato con poca spesa un tendone ai Giardini Pubblici di G. in un pezzo disperato di Iraq.

Silvino si guarda attorno, nota che prendo distrattamente appunti e per qualche secondo i miei occhi incrociano i suoi, due pesci malati in un acquario torbido.

Ci ripetono che il vecchio, del resto, ha combattuto contro i nazisti. Che la Francia sapeva.
Delle memorie invece non si parla: le torture ci sono state, ma non vengono descritte né quantificate. Non ci dicono quanti suicidi, quanta gente volata dalle finestre, quante persone fatte sparire dopo le confessioni, persone che oramai "non sentivano più niente": la tortura è un male piccolo ma necessario per sconfiggere il grande male del terrorismo, il vecchio è una lezione per la Francia, per tutti. La traduzione del libro sarà presto pubblicata dalla casa editrice che ha promosso la rassegna, e questo è quanto.

Se lasciassero spazio alle domande ci sarebbe da chiedere cos'ha fatto il generale dopo la guerra d'Algeria, dopo aver torturato, suicidato, spinto giù dalle finestre per il bene e con la benedizione del suo paese. Io lo so: ha fatto carriera, è andato in Sudamerica dove negli anni Settanta ha partecipato all'addestramento dei militari argentini, ai quali ha insegnato i propri metodi ("l'interrogatorio si converte in un metodo quando si svolge in modo da ottenere sempre una risposta", dice il colonnello Bigeard nel film di Pontecorvo: quel metodo è la tortura).
Il vecchio è stato una lezione per tutti: Argentina, Cile e Paraguay hanno applicato il metodo con diligenza, la battaglia di Algeri è ora utilizzata dal Pentagono per studiare come affrontare la guerriglia irachena.

Dopo un'ultima impennata Silvino se n'è andato. Il pubblico tace, l'incontro è finito.
Un ragazzo con gli occhiali scuri si avvicina al vecchio con la benda, gli stringe la mano e gli chiede un autografo: "Merci, monsieur Aussaresses". A voce troppo alta, perché a quanto pare il vecchio è sordo.