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martedì, ottobre 29, 2013

Il deserto

"C'era un deserto da attraversare, ti mostravano un bel punto di partenza, grazie a loro da qualche parte arrivavi di sicuro. Era un bel punto d'arrivo? Fatti tuoi. Sempre meglio del deserto.

Oggi il deserto c'è ancora. Si è esteso. È naturale, che si sia esteso. Nulla può fermare il deserto. Internet collega fortini fantasma, come in Undead Nightmare (grande film). (Non è un film.) 'Tutto merito della ferrovia. Ma il deserto è sempre lo stesso.'"

Stenelo, Face/Off

sabato, giugno 09, 2012

La prossima volta che ti vedo sono due

Sono a Udine con un gruppo di amici. Dobbiamo andare a piedi dal centro (poniamo piazza San Giacomo) alla stazione. A quel punto la città si allarga, le linee rette si spezzano e si biforcano: passaggi, portoni, ristoranti, vicoli ciechi, un Coin, una chiesa sghemba, un ippodromo. A. intanto mi convince che dovrei provare l'equitazione, insomma l'ippica, che è facile, che tutto sommato non costa molto, che lei lo fa. In quel momento mi accorgo che non solo porta un berretto da cavallerizza, ma anche una maschera con il naso a punta e le lentiggini.
Imbocchiamo un passaggio coperto. Io ogni tanto mi giro per controllare se ci siamo tutti.
E poi dico: "Non vi sarà certo sfuggito che uno di noi è stato sostituito da un'altra persona, da cicciottello è diventato alto e magro, anzi è diventato il mio amico Nando".
Loro se ne stanno tutti zitti e a testa bassa, come umiliati.
"Se va bene a voi" aggiungo polemica. "Ma la prossima volta che mi giro cosa vedo, Michael Fassbender?"

Sua Cinicità dice che mica ho scelto Fassbender per caso, visto che è il qualsiasi, l'uomo dai lineamenti regolari ma generici come un identikit, l'Everyman. Fassbender è memory-proof come i Silent del Doctor Who: lo vedi e te lo dimentichi, lo rivedi, te lo ricordi e te lo dimentichi. Ma chi è questo nuovo che fa Jung? Fassbender? Lo conosciamo? Ma che bella dentatura regolare, chi è? Fassbender? A però. È nuovo?
E poi in Prometheus se ne sta sempre a toccare i pulsanti e a fare di testa sua senza mai essere disturbato neanche per sbaglio da uno sceneggiatore, o forse cade dagli occhi del montatore, e quando gli chiedono "riesci a leggere queste scritte" lui dice "credo" e poi le legge ma mica le spiega, come quelli che se gli chiedi "sai l'ora?" rispondono "sì grazie".

Dunque forse ho paura di girarmi una terza volta perché temo che Fassbender prenderà una delle sue stupide iniziative, come incrociare un vermiciattolo alieno con un furlano di Tavagnacco o mescolare acqua e cabernet. E infatti non mi giro, facciamo che quello alle mie spalle ha ancora la fisionomia scettica e affidabile di Nando e stiamo a posto così. Mi sveglio prima di raggiungere la stazione.

sabato, novembre 12, 2011

In un abisso di acquazzoni e stelle

Lacrime per un vecchio film dell'infanzia

di Sergej Kruglov

             A Saša Egorov

Mio uomo nero, Negoro mio!
Prendimi, rapiscimi, trascinami nelle giungle africane,
scarlatte, verdi, terracotta,
gettami, solo e legato, i mezzo ai bruti e alle sciagure,
precipitami in un abisso di acquazzoni e stelle, consegnami
al Grande Mganga incantatore! –
ma il cattivo non ascolta: ridendo selvaggiamente
mi riporta indietro, indietro. Incespico,
la febbre canta nelle vene; stessa riva,
stessa nave senza equipaggio,
stessa luce feroce
e il ritorno nella gelida e vecchia patria.
La misericordia del male senza pietà per il prigioniero.

Ricordi com'era bello
e bianco e nero tutto questo
sullo schermo a colori?

Era così. E avevo quindici anni anch'io
quando scoprii quest'innocenza.

Nota: il film è Pjatnadcatiletnij kapitan (Sojuzdetfil'm, 1946) di Vasilij Žuravlëv, adattamento del romanzo di Jules Verne Un capitaine de quinze ans. Il malvagio cuoco Negoro, mercante di schiavi e ricattatore, era interpretato da Michail Astangov. Il film è qui: http://video.mail.ru/mail/jonniarts/4307/1966.html.

Originale:  "В слезах над старой кинолентой детства", Снятие Змия со креста, 2003.

Traduzione: Manuela Vittorelli.

Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come cronista nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. Vive in Siberia. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj. Ha un blog: http://kruglov-s-g.livejournal.com/ (rus).

venerdì, ottobre 08, 2010

La Teoria della Sostituibilità di Leonardo DiCaprio

Nella notte tra il 7 e l'8 ottobre 2010, durante la visione del pilot di Boardwalk Empire diretto da Martin Scorsese con piglio revivalistico, stucchevole eccesso di mezzi e atmosfera a metà tra il teatro di posa e il villaggio outlet grandi firme, tale Mirumir (di seguito indicata come M.) affermava che "dopo tutto Michael Pitt non è male" e "forse potrebbe sostituire Leonardo DiCaprio in alcuni film".

Non esageriamo, disse Sua Cinicità.

A sostegno della propria Teoria, M. si produsse nell'imitazione delle faccine di DiCaprio – DiCaprio pensa, DiCaprio di preoccupa, DiCaprio ha paura, DiCaprio risolve un sudoku difficile – per dimostrare che si trattava della stessa faccina, invariabilmente caratterizzata da fronte accigliata, occhi a fessura, boccuccia sprezzante, narici leggermente dilatate, doppioomento fremente. Passò poi a riprodurre la faccina estatica – DiCaprio è felice, DiCaprio è superiore, DiCaprio è innamorato, DiCaprio ha risolto un sudoku difficile – composta da mezzo sorriso assorto e pupille genericamente puntate su un orizzonte ricostruito digitalmente. Sua Cinicità concesse che c'era del vero. "C'è del vero" disse infatti. "Povera matta" aggiunse.

M. si spinse poi a individuare le cause di questa immobilità espressiva in una baby face sempre sul punto di trasformarsi in festoso crollo strutturale e mai pronta a compiere l'atteso grande passo.

Fantasticò poi sulla sostituibilità di DiCaprio con Matt Damon (anche in The Departed, per il quale con una qualche macchinosità suggerì la sostituzione di DiCaprio con Damon, di Damon con Mark Wahlberg, di Wahlberg con – poniamo – Michael Pitt). Si esibì quindi nell'imitazione facciale di Matt Damon, il John Boh per eccellenza: espressività simile a quella dicapriesca ma con l'aggiunta di un leggero prognatismo e di uno sguardo puntato sul qui e ora di una constatazione amichevole.

"In Inception invece mettiamo Christian Bale e stiamo a posto così" concluse.

Affermò che non voleva male a DiCaprio, che in fondo lui avrebbe continuato a lavorare per inerzia, fondato catene di cocktail bar, girato piccoli orgogliosi film e presediuto giurie di festival. Gli confermò poi il roseo futuro di fidanzatore e/o sposatore di modelle e gli augurò un sereno sovrappeso splendidamente tatuato ad accompagnare l'espressione di gatto persiano sazio.

"Invece Steve Buscemi è un capo" chiosò, giudicandosi quasi troppo ovvia e didascalica.
Non esageriamo, disse Sua Cinicità.

venerdì, gennaio 08, 2010

E tuttavia

"Non capisco lei come fa ad aver paura di una creatura così simpaticina."
Piccolo Umano Femmina durante la visione di King Kong (1933).

martedì, dicembre 29, 2009

Nell'amor si comincia così

Il titolo va preso alla lettera. Per Kluge si tratta proprio di fare la genealogia dei sentimenti del XIX e XX secolo. Operazione condotta in maniera musil-brechtiana, a furia di collage, aforismi e atti unici, trattando i sentimenti come oggetti e l'Opera come la fabbrica che storicamente ha prodotto questi oggetti su vasta scala. Perché i sentimenti, a ben vedere, al cinema sono oggetti recalcitranti in quanto durevoli, mentre il cinema continua a essere incostante e sempre più mutevole. Intelligente, Kluge studia i sentimenti come un fisico poeta. Sperimenta la loro durata e ne attende l'esplosione. Ma l'esplosione dei sentimenti è sempre un enigma. Lo si vede chiaramente nella cronaca nera, nei libretti d'opera o nelle estasi silenziose del cinema muto. È lì che Kluge si mostra al contempo scienziato, filosofo e – ragionevolmente – poeta. Il suo film somiglia al divertissement di un professore euforico di fronte a una classe pietrificata ma tutto sommato felice. […] La forza dei sentimenti ci riporta a una certa Germania: quella di Lichtenberg e di Musil, la Germania ironica, tagliente, disincantata. Come si sarà capito, il film è irraccontabile. Ma perché è fatto di una miriade di storie. È impossibile riassumerlo, perché non cessa di riassumersi strada facendo. Ma è sontuoso, serio e buffo.
Serge Daney, La Maison cinéma et le monde – 2. Les Années Libé (1981-1985), P.O.L., Paris 2002.

Cinepanettone tedesco a reti unificate per l'Italia dell'Amore: grazie allo zombi La Forza dei Sentimenti di Alexander Kluge (raro, bellissimo) sta qui, in versione integrale:

venerdì, ottobre 09, 2009

L'appassionante vita di una collezionista di braccidestri

Dilemma: devo interrompere la compilazione di bolañane biografie di poeti sovietici e di cantanti russe prerivoluzionarie, l'osservazione degli spazi azzurri e le traduzioni professionali a tariffe outlet per dedicarmi ai due algerini presunti affiliati di alcaida arrestati a Vienne? Sì, devo.
Arrestati, dunque.
A Vienne, nell'Isère. Sud-est della Francia, Rodano-Alpi.
Presunti affiliati, stavolta, non organizzatori ma neanche portavoce qualsiasi.
Affiliati a che? Ad al Qaïda au Maghreb islamique (AQMI), cellula magrebina di alcaida: perché alcaida acts global ma thinks local, come il McDonald's, e se non lo avete ancora capito non sto a rispiegarvelo.
Insomma c'erano questi due fratelli estremisti islamici che suggerivano via internet all'AQMI i possibili bersagli di attentati in Francia.

Fun facts: il maggiore dei due lavorava al CERN. Nel nucleare, sottolinea Le Figaro. Era un ingegnere, rincarano la dose varie agenzie di stampa, che non perdono l'occasione per ricordarci l'acceleratore di particelle e il Big Bang cosìcosà. Un progetto costellato anche da molte difficoltà e ritardi, sgomita Repubblica. Sì, vabbe'. Adesso va di moda sputtanare la Svizzera (però non si invitano i registi a ritirare un premio per poi metterli in un carcere di Zurigo, ve lo dico subito).

Ora, da collezionista di braccidestri mi chiedo: cosa c'è in alcaida che attira così tanto gli ingegneri? Apre un ventaglio di opportunità professionali? Fa bella figura nel curriculum? Permette di viaggiare tanto? Paga bene? Ha un sistema imbattibile di buoni pasto?
Siamo dunque autorizzati a parlare di fuga di cervelli?
Forse non lo sapremo mai.
Ma cosa facevano di preciso, l'ingegnere e suo fratello? Mandavano ad alcaida dei link a googlemaps? Preparavano tanti piccoli Big Bang nell'Esagono? Costruivano un trappolone per accelerare a mano le particelle?
Non si sa.

Dunque, io avrei questo piano di voli frequenti. Sono flyingbluista di Air France, speedyboardista di EasyJet, do una mano alle hostess di Ryanair a distribuire i gratta&vinci e ultimamente negli aeroporti non mi faccio neanche più fregare il carrello con i due euri dentro.
Loro, i francesi, ogni volta che atterro proclamano uno sciopero del latte.
Lì mi è consentito vedere solo RaiUno, cioè Unomattina, il Tg e Porta a Porta, e per il resto del tempo ci sono quello scemo di Titeuf e dei Simpsonnes tristissimi doppiati in québécois.
E poi c'è il rap francese.

Ma.
Per favore, ingegneri nucleari di alcaida. Io lo capisco che Vienne dev'essere un po' come Gorizia ma senza i casinò. E che - a riprova delle mie privatissime considerazioni - non è un caso che sia gemellata con Udine.
Però ormai mi sono abituata ai letti da nani, ai cuscini cilindici e al fatto che in bagno al posto del water ci sia la cesta della biancheria, il moretto del tg sul secondo canale mi sta più simpatico del biondo, conosco tutte le parolacce che servono a stringere amicizia con un bambino di seconda elementare o con un bambino ritardato di terza e l'ultima volta - sentite qua - mi hanno versato 20.000 litri di latte gratis in place de la République. Sono cose che fanno bene al calcio.
Ci siamo capiti, ingegneri nucleari di alcaida.

Soggetto.
Mohammed, ingegnere di Clermont-Ferrand convertito all'Islam, si innamora di una bionda cattolica appena intravista e decide di sposarla. Un vecchio amico, uno zapatista di Carcassonne, gli presenta un'affascinante dottoressa divorziata, con la quale trascorre la notte a parlare platonicamente di matrimonio, morale, religione e linguaggi di programmazione open source. Il giorno dopo Mohammed si dichiara alla bionda cattolica, ma lei dice che non può sposarlo a causa di una relazione con un uomo ammogliato.
Cinque anni dopo Mohammed e la bionda, felicemente uniti in un matrimonio interreligioso e fieri genitori del piccolo Pierre Tariq, incrociano la bella divorziata su una spiaggia. Scambiano qualche banalità, Mohammed scopre che l'amante di sua moglie era il marito della dottoressa, si salutano, tutto continua come prima.
Nell'inquadratura finale Mohammed si attarda sulla spiaggia ("Papà, papà, sbrigati," "Un momento, arrivo"), si accende una sigaretta, estrae dalla tasca un binocolo e una mappa, mette a fuoco una centrale nucleare all'orizzonte e mormora tra sé: "lì".
Titolo: La mia notte con Mohammed.

martedì, settembre 01, 2009

Apocalypse low-cost

Pierluigi è vittima di un incubo ricorrente nel quale qualcuno tenta insistentemente di morderlo. La moglie Giovanna, preoccupata, ne parla di nascosto con il medico di famiglia, Dario, da tempo segretamente innamorato della donna.
Pierluigi riceve la telefonata di Massimo, un vecchio compagno che non si è più ripreso dalla Festa dell'Unità del 1980 e soffre di disturbi nervosi. Pierluigi, distratto dall'acerba avvenenza della vicina di casa Debora, liquida Massimo con una scusa. Quest'ultimo, intristito, entra in un cinema dove proiettano un vecchio film. Qui, preso da un raptus, tenta di azzannare un ragazzino e urla scompostamente "Evviva il comunismo e la libertà!" per poi darsi alla fuga e finire inseguito e assediato dalla polizia in un hard discount. Pierluigi, accorso nel frattempo, lo convince ad arrendersi ricordando i bei tempi delle Feste dell'Unità trascorsi insieme al comune amico Gavino.

All'ospedale psichiatrico dove viene ricoverato grazie all'intervento di Dario, Massimo incontra proprio Gavino, anch'egli tormentato da squilibri nervosi. Poco dopo i due azzannano alla coscia una dottoressa, Livia. Pierluigi intanto racconta alla moglie la sua sbandata per Debora e le confessa l'impulso di mordere la giovane, colpevole di confondere Aldo Moro con Alfredo Biondi.

Il medico Dario, nel frattempo, ha scoperto che Pierluigi, Massimo e Gavino sono semplicemente diventati cannibali. Il problema risale proprio alla Festa dell'Unità del 1980, quando dopo un comizio i tre furono morsi da Bepi Tombola, vecchio partigiano dell'ANPI scontento della linea politica del partito e dell'introduzione della rucola nelle piade con la coppa.

La dottoressa Livia, a sua volta contagiata, morde l'anziano primario di psichiatria che in una scena intensa e memorabile si mette a gridare "Comunista è un termine bellissimo!".
Mentre il virus si trasmette innarrestabile, Pierluigi, Massimo, Gavino e Livia si danno a una fuga disperata.

--- ATTENZIONE, SPOILER ---

Sopravvive il solo Pierluigi, che a casa però si uccide per non contagiare Giovanna.
Ma nell'ombra si cela Dario, le labbra sporche di sangue socchiuse in un ghigno sturziano, gli occhiali che riflettono il volto terrorizzato della moglie di Pierluigi. Fuori, in mezzo al frastuono delle sirene delle ambulanze e delle auto della polizia, l'acerba Debora matura una decisione: dopo essersi fatta un culo così in un film a basso costo avrà pure il diritto di candidarsi alle primarie.

Curiosità
Primo ruolo significativo del giovane Mario A. Compare nel parcheggio dell'hard discount sibilando "tutti froci, pasolinianamente parlando", per essere poi abbattuto da una pallottola vagante. Battuta tagliata in sede di montaggio.

Citazione celebre
Poliziotto: "Ma voi da dove venite?"
Pierluigi: "Noi comunisti veniamo da lontano e torneremo lontano. Bang bang".

martedì, maggio 12, 2009

Paris nous appartient


Captain: What happen?
Mechanic: Somebody set up us the bomb.
Operator: We get signal.
Captain: What!
Operator: Main screen turn on.
Captain: It's you!!
CATS: How are you gentlemen!! All your base are belong to us.
Versione europea per Sega Mega Drive di Zero Wing (1989)
Quanta pazienza deve avere una collezionista di braccidestri di fronte a notizie come questa? Deve mollare tutto per la scoperta di due portavoce di al Qaeda a Bari?
Scoperti: come la penicillina.
Non uno: due.
Non vice, non organizzatori: portavoce.
Che da Bari mi vogliono distruggere l'aeroporto principale di Parigi.
E che reclutano terroristi suicidi per l'Iraq e l'Afghanistan.
Arruolare coltivatori d'oppio pashtun disoccupati oppure orfani sunniti o sciiti sarebbe banale, prendiamo baresi e parigini e li paracadutiamo a Helmand e a Mosul, dai. Ci conviene. E poi pensateci: non è scontato.
Già che c'erano, i due trafficavano anche in clandestini (per i lettori di Spazio Azzurro: sì, stiamo parlando di estracomunitari sturpatori).
Bassam Ayachi: 62 anni, sceicco, "impegnato in un'instancabile opera di proselitismo". E già questo.
Raphael Gendron: 33 anni, "ingegnere informatico convertito particolarmente impegnato nella propaganda sul web". Ecco, passi per lo sceicco pensionato, ma agli ingegneri informatici convertiti non riesco a resistere. Gente che con la scusa di installarti Ubuntu ti mette nei preferiti un sacco di roba alcaidista, tipo questo sito ribaat.org che secondo il Corriere significa "avamposto" e dev'essere qualcosa di simile alla Torre di Guardia dei Testimoni di Geova. Che ti lascia in casa pennette usb piene di proclami compromettenti spacciandoteli per "Ten riedizione deluxe, con i vecchi pezzi leggermente riarrangiati e un sacco di bonus tracks". Che ti fa gli occhi dolci e ti dice ma come non ce l'hai il tema di Firefox con i gattini red flavor e ti installa il plugin Jihad 5.1 che si connette con il Mullah Omar via Skype tutti i giorni ore pasti.
Ed è belga.
Io adoro gli ingegneri informatici belgi convertiti ad al Qaeda.
Ma il Charles De Gaulle, vi prego. Ci serve. Facciamo Beauvais, che è decentrato ma è comunque un aeroporto. D'accordo, sta nel mezzo della pampa francese a un'ora di autobus da tutto. Ma è comunque un aeroporto.
La pazienza che ci vuole è tanta.

Dunque qui ci serve subito una trama. Di solito lo faccio nei commenti perché a metterla nei post mi vergogno (alla deficienza c'è un limite, e temo di prendermi uno zero in condotta e una bacchettata con il righello - merde! - da quello degli dei che scrive di cinema e che sta 39 scalini sopra il Mereghetti), ma oggi va così.

La giovane Annette studia Religioni Orientali Applicate a Parigi. Suo fratello Pierre la porta a una festa dove conosce Bassam, attempato sceicco fuggito dall'Iraq, e Raphael, misterioso smanettone belga, accompagnato dalla fatalona Terry. Durante la festa (che è una di quelle feste dove le ragazze hanno perturbanti gonne al ginocchio e golfini di angora rosa pallido, si vede che sono rosa pallido anche se il film è in uno schietto e luminoso bianco e nero), tanto per alleggerire l'atmosfera si discute del suicidio di Mohammed, amico di Bassam e Raphael ed ex moroso di Terry. Pierre avverte sua sorella che anche Rapahel corre il rischio di essere suicidato. Ma a cosa servono i fratelli maggiori, se non a restare inascoltati? Allora Annette si mette a indagare sulla morte di Mohammed, e scopre che nel suo ultimo messaggio si cela la password per accedere a un sito internet specializzato in reclutamento di portuali baresi.
Lei più di tanto non si stupisce, perché lo sanno tutti che Parigi se avesse il mare sarebbe Bari.
Dunque anche Raphael sa troppo? Perché indossa quegli strani gilet molto imbottiti? Perché si è fissato con la messa in scena del Pericle, che non è stato neanche scritto tutto da Shakespeare (ve lo dico io)? Perché non Cimbelino, per esempio? Non sarà mica perché Pericle viaggia tanto? "Il pensiero della morte è come uno specchio, in cui la vita è apparenza, breve come un sospiro": abc del martirio? Chi è Terry, una a cui vorremmo sbullonare i cerchioni dell'utilitaria? Qual è il ruolo dell'instancabile sceicco?

Film imperfetto, lungo e fondamentale. Verrà citato e omaggiato nel capolavoro del jihad banlieuista, I 400 corpi, nel quale finalmente si svela il segreto del gilet troppo imbottito.

martedì, giugno 05, 2007

Ma dico io

Se avete visto Breakfast on Pluto, siete sopravvissuti alla tortura del doppiaggio e ancora vi state chiedendo cosa intendesse dire il protagonista quando faceva la valigia, indossava il cappottino con il collo di peluche e lasciava il suo piccolo Amleto per la grande città, ecco: hamlet=villaggio, non giovin'uomo tradizionalmente raffigurato in calzamaglia. Ma dico io.


giovedì, settembre 08, 2005

Ventiquattro volte al secondo

La photographie, c'est la vérité
et le cinéma, c'est vingt-quatre fois la vérité par seconde.

Jean-Luc Godard

Grafica rivoluzionaria, stile inconfondibile, grandi contenuti: correte a vedere Kinobit, il vlog di Strelnik!

domenica, luglio 03, 2005

Robe degli altri mondi (attenti allo spoiler)

Al cinema. Sullo schermo, dialogo tra padre e figlio a bordo dell'unica auto funzionante in città, mentre i treppiedi giganti si danno da fare per polverizzare New York e i suoi abitanti:
– ma chi sono, papà, terroristi?
– no!
– da dove vengono?
– non lo so!
– dall'Europa?
Con queste premesse, non mi aspettavo che il ragazzino problematico e rompiballe riuscisse ad arrivare fino alla fine del film. E invece ci arriva prima di Tom Cruise e prendendo la strada difficile. C'è da dire che almeno lui non rimane bloccato per mezz'ora in uno scantinato allagato con Tim Robbins (la parte inutile del film) a schivare subdole sonde aliene che si rivelano poi distruggibilissime a colpi d'accetta.
Quando Spielberg fa così (e io trovo che lo faccia quasi sempre) mi ricorda il Milan contro il Liverpool nella finale di Champions.

mercoledì, gennaio 12, 2005

mercoledì, novembre 24, 2004

Possession: lui, lei, lui, e molti tentacoli

O. è un tipo flemmatico. Ma mettigli in dubbio le regole del cinema di fantascienza e si inviperisce: insomma, capisci presto che se tu e lui in questo momento vi trovaste in un'astronave allegramente diretta verso Orione non esiterebbe a trasformarti in spazzatura cosmica lanciandoti fuori dal portellone. Inutile obiettare che quel dato film "sì, è sci-fi, ma in fondo mette in scena una tensione psicologica (o sociale, o ideologica)...": prima di rendertene conto sei già metaforicamente fuori dal portellone, a fare ciao con la manina.

A Trieste c'è ogni anno un bellissimo festival del cinema di fantascienza, Science plus Fiction, grazie al quale ieri abbiamo potuto vedere Possession di Andrzej Zulawski, versione originale sottotitolata: film che abbiamo inseguito per anni, un po' un mito adolescenziale, con quell'aria sempre vagamente peccaminosa che hanno le pellicole maledette o anche solo sfigate.
Ed eccolo, dunque: fotografia livida, ambientazione berlinese minevoecentottanta (una Berlino Ovest deserta, quasi metafisica), movimenti di camera continui e vorticosi, forse esagerati. Marc (una via di mezzo tra uomo d'affari e agente segreto, interpretato da Sam Neill) al ritorno da una delle sue missioni trova ad aspettarlo la moglie Anna (Isabelle Adjani) e il loro bimbo di cinque anni. Capisce subito che Anna ha qualcosa che non va: è distante, infastidita, sfuggente. In breve, ha un amante.
Solo che tra una scena isterica e l'altra si comprende che Anna non si dà a Heinrich, cultore saccente del sesso tantrico con cui ella ha avuto una relazione, ma – ben più appassionatamente – a un mostro tentacolare e viscido, un polpo gigante e sanguinolento uscito dalla fantasia di Carlo Rambaldi. Il mostro va prendendo progressivamente una forma più distinta, più umana. Diventa a questo punto chiaro, al pubblico ma non al marito ancora completamente all'oscuro della faccenda, che è Anna stessa ad aver dato forma alla creatura (partenogenesi? È solo un'ipotesi).
Per proteggere il suo segreto la donna fa fuori un paio di detective assoldati dal marito e anche un'amica; lui a sua volta uccide il maestro di sesso tantrico e un misto di poliziotti e altri personaggi. Marito e moglie, tra una cosa e l'altra, tentano entrambi, ma con poca convinzione, il suicidio con un coltello elettrico (follia). Dopo varie disquisizioni sullo sdoppiamento, sulla dicotomia corpo/anima, su Dio, sulla fede e il caos, il film si avvia verso l'enigmatico finale: il polpo ha preso le sembianze del marito della donna, è ora "completo"; Anna e Marc muoiono dopo una sparatoria con la polizia; il loro bambino tenta il suicidio cercando di annegare nella vasca da bagno, mentre la donna a cui era stato affidato (la sua maestra di scuola, che tanto per confondere le idee è impersonata sempre da Adjani) si appresta ad aprire la porta a colui che crede Marc (del quale è forse innamorata) e che invece è il mostro. Chiusura sullo sguardo attonito di Isabelle, mentre si sente il frastuono di quella che sembrerebbe una catastrofe nucleare.

In auto, poi, appesantiti dal film e dai tacos mangiati poco prima (perché le proiezioni di Science plus Fiction si tengono al multisala del centro commerciale Torri d'Europa, e la gente deve pure nutrirsi in questi ambienti artificiali), O. e io ci siamo scambiati alcuni commenti ("proprio come me lo immaginavo", e "che prodotto degli anni Settanta!") e delle informazioni utili.
E quindi, saranno stati i tacos, sarà stato il film, ma sarà stato soprattutto che O. aveva tutta l'aria di addormentarsi al volante: insomma ho detto le parole maledette.
"In fondo, non è nemmeno un vero film di fantascienza".
Lui, improvvisamente sveglissimo, ha cominciato a elencare le sue benedette regole del genere, e con questo siamo approdati sani e salvi in garage (ma io avevo messo la sicura).
A casa, comunque, in momenti distinti e facendo finta di nulla, abbiamo entrambi consultato The Aurum Film Encyclopedia of Science Fiction, ovvero il Tomo Unico della Legge.
Ed ecco.
Possession dovrebbe stare nell'anno 1981, tra Piranha II: Flying Killers e The Protectors, Book I. Invece neanche l'ombra.
Abbiamo scelto di non commentare la cosa.

giovedì, ottobre 21, 2004

Il y a 20 ans



In qualche modo le cose cominciano.
Per me, è cominciata così.
Ho un ricordo molto vivo dei film visti da bambina, quando i miei lavoravano fino a tardi e Antonia si addormentava sulla sedia in cucina con il televisore acceso. A volte mi sembra che gli anni successivi, dell'adolescenza e della prima età adulta, siano stati una ricostruzione furiosa di quei film senza titolo, mal capiti o fraintesi, divorati ad occhi spalancati e con il volume al minimo.
Se ho amato il cinema prima dei ragazzi e della musica è merito di un contagio, di uno sguardo fatale e casuale, in una di quelle sere silenziose in cui al desiderio che i miei tornassero presto seguiva la preoccupazione di non riuscire a vedere la fine del film.
François Truffaut è stato il regista di quel contagio, e il film I quattrocento colpi.
Truffaut per me è stato l'amore, la carnalità, il gioco, il macabro, lo scherzo, l'amarezza. I suoi maestri sono diventati i miei, ho scoperto il grande cinema americano ed europeo anche attraverso i suoi occhi, ho mandato a mente la lezione di Hitchcock e di Ray, di Gance e Ophüls. Truffaut è stato critico, polemico, bibliofilo, trasgressivo, convenzionale, romantico, cinico, dongiovanni, feticista, voyeur e tantissime altre cose. L'ho tradito, discusso e abbandonato molte volte, poi, come si fa con quello che si ama veramente.
Quella notte fatale, mentre la stufa si stava raffreddando, io sognai Doinel che accendeva una candela davanti al ritratto di Balzac, e io ero Doinel.
Per me, così è cominciata.

lunedì, settembre 06, 2004

Essere e avere

Non amo dare qui giudizi su film e raccomandarne o sconsigliarne la visione. Al massimo slittano direttamente nella categoria "dobraroba". Questa è un'eccezione.
Poche sere fa ho visto Essere e Avere, di Nicholas Philibert, un film-documentario ambientato nel Puy-de-Dôme, nella Francia rurale. È la storia di un anno scolastico in una vera multiclasse, o classe unica, in cui "i più piccoli", "i piccoli" e "i più grandi" vengono seguiti e istruiti da un maestro sulla soglia della pensione (si tratta per lui dell'ultimo anno di insegnamento).
Con occhio attento e quasi invisibile, il regista osserva e registra la vita della classe, i suoi ritmi quotidiani scanditi dalle stagioni: il film si apre infatti con uno scuolabus che affronta un paesaggio montano invernale e si chiude con le ultime lezioni all'aperto e la gita nel silenzio dei campi di grano in un'estate abbagliante.
Giorno dopo giorno, senza un'evidente imposizione di ritmo e senza apparente fretta, ci vengono mostrati minimi e lenti progressi, scene di vita familiare (come l'episodio dell'intera famiglia alle prese con il problema di aritmetica del bambino), momenti di vita di classe. Vediamo il maestro, alle prese con un dovere sentito e coltivato come vocazione, impartire i rudimenti della scrittura e della costruzione delle frasi, farsi severo di fronte a un litigio tra ragazzi, tranquillizzare una mamma preccupata per i problemi di apprendimento e di comunicazione della sua bambina e un bimbo in ansia per la malattia del papà. A un certo punto ascoltiamo il maestro parlare di sé e della sua storia familiare – i genitori fieri del suo lavoro di insegnante, i sacrifici della famiglia, una professione voluta e sentita fin da piccolo – e capiamo quanto sia a un tempo consapevole del suo ruolo e vicino ai genitori umili dei suoi allievi. Lo vediamo presente e sollecito, mentre dosa l'alfabeto e i numeri alla sua classe, sovrintende divertito alla loro educazione fino a quell'"au revoir monsieur" detto da ciascuno dei bambini, ultimo di una lunga serie e, semplicemente, ultimo: i bambini ci sfilano davanti agli occhi fuori dalla classe e dal film. La sola figura del maestro, l'aria un po' spaesata e commossa, occupa l'inquadratura finale.
E mi sono resa conto di questo: pensavo i due verbi impegnativi del titolo alludessero a concetti, a chissà quali lezioni morali. Sono invece i primi due verbi che si imparano a scuola, che si coniugano con lentezza esasperante, tra gli errori e gli incespicamenti.
Ho pensato spesso, negli ultimi giorni, a questo film-documentario in cui i bambini sono coltivati e protetti come belle e preziose piantine: si ha l'impressione che la scuola davvero li difenda e li custodisca, che si prenda cura di loro, che li renda più forti nonostante le lacune e le imperfezioni, e forse più fortunati dei loro genitori, migliori. Come deve essere.
Ne L'argent de poche (tradotto in italiano come Gli anni in tasca), che l'opera di Philibert richiama, anche per l'ambientazione – se non fosse che a Truffaut sta a cuore la storia, e anche un po' di autobiografia, e non la verosimiglianza – si assiste alla caduta dalla finestra di un bambino, con miracoloso lieto fine. Un personaggio commenta: "i bambini sbattono contro tutto, sbattono contro la vita, ma hanno la grazia divina, e anche la pelle dura".
Invece noi lo sappiamo, non hanno la pelle abbastanza dura. La "grazia divina" spesso si dimentica di loro, lasciandoci inariditi a desiderare che le cose andassero, se non come nel film di Truffaut, almeno come nella tenace, coraggiosa multiclasse di Essere e Avere.

giovedì, maggio 06, 2004

Il fanatico del gore+velocità

"Andiamo a vedere Dawn of the Dead?"
"Ma è solo un remake!"
"Sì, però qui gli zombi si muovono ve-lo-cis-si-mi!"

mercoledì, aprile 21, 2004

Noia e sangue

Su gentile richiesta del compagno L., che oggi mi informata sull'esplicita e prevedibile cattolicoromanità del signor Jim Caveziel, dichiaratamente diventato ancora più cristiano dopo un viaggio a Medjugorie e scrupolosamente dedito a discipline religioso-penitenziali e digiunistiche durante la lavorazione del film (oltre che molto cattolicoromanamente coniugato con una pari-fede), confermo che il mio apprezzamento delle soavi membra del suddetto signore (effetto che persistette anche dopo la visione cinematografica) fu prodotto da "noia e troppo sangue".

lunedì, aprile 19, 2004

Tu vuoi fare il nazareno

"Hai portato il dizionario friulano-aramaico?"
Frase colta al volo ieri sera, al cinema. Siamo gente semplice.

Alcune osservazioni personali, in elenco puntato e numerato:
1. Vuoi fare un film filologico? Vuoi? Insisti? Lascia perdere la musica invadente e i rulli di tamburo. Altrimenti tutta quella fatica con l'aramaico e il latino è sprecata, e lo spettatore allibito potrebbe pensare di trovarsi ora in un'astronave Klingon, ora in un cartone di Asterix, con effetti catastrofici sulla capacità di concentrazione. L'effetto Brian di Nazareth, poi, è sempre dietro l'angolo.
2. Ero preparata alla macellazione del corpo di Cristo. Ma quel Gesù risorto e dalle soavi membra intatte (se si eccettuano i buchi dei chiodi) che si materializza nel sepolcro fa pensare più all'efficiente meccanica di un Terminator pronto a nuove avventure.
3. Mi è stato bonariamente fatto notare che un credente "sente" queste cose in modo diverso: è coinvolto e straziato malgrado le pecche del film. Vero, ma sul cartellone non c'era scritto "materialisti storici astenersi". E poi nell'altra sala davano Scooby-doo.
4. Infine: ho sentito dire che Mel Gibson ha scritto il film sotto l'influsso dello Spirito Santo. Vorrei tanto sapere chi glielo fornisce.