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domenica, febbraio 06, 2011

Un pelmazo que no se está quieto un segundo

In realtà è incomprensibile che possa ingannare chicchessia, per non parlare di quasi un intero paese, ed è incomprensibile che abbia ottenuto la maggioranza assoluta alle elezioni, ma quante volte e in quanti paesi non è accaduto lo stesso?
Misteri. O forse la gente non ci fa caso, non presta attenzione, guarda e ascolta solo distrattamente, forse perché ascolta o vede troppa televisione.
Il soggetto manca di scrupoli e per di più in maniera radicale, poiché questa carenza è autentica; non è il caso di tanti altri che li conoscono ma hanno deciso di ignorarli; egli ignora la loro esistenza e non li considera mai, neanche per rifiutarli o etichettarli come stupidi o gravosi o come bastoni tra le ruote.
Non li ha mai scartati per il semplice motivo che non li concepisce, non hanno mai fatto parte delle sue nozioni, meno ancora dei suoi valori. Tanto gli sono estranei che quando li individua in un'altra persona li considera soltanto un sintomo di debolezza e li usa per giudicare quella persona fragile o docile e, pertanto, assoggettabile.

Di fronte a questo tipo di individuo la maggior parte delle persone è inerme, perché quasi nessuno è preparato a trattare con una persona tanto seccante e insistente (uno scocciatore che non sta fermo un secondo, una di quelle persone a cui si dice di sì pur di levarsele di torno o di fermare le loro ciarle, di riuscire a farle tacere), formalmente cordiale e persino affettuosa e che allo stesso tempo non osserva norme o regole d'alcun tipo. Non le considera nemmeno per disattenderle, e neanche i principi, neppure per tradirli; mai avrà la consapevolezza di stare esagerando o passando i limiti o trasgredendo, anche se potrà fingere di abbracciare momentaneamente delle regole – le ha viste negli altri e ha imparato a essere mimetico. Ma la cosa più difficile è questa: quasi nessuno è pronto a trattare con una persona che non sente mai vergogna di alcun tipo, né personale, né pubblica, né politica, né estetica. E nemmeno narrativa. Infatti egli non sa cos'è.

da: Javier Marías, "Informe de Pérez Nuix sobre Silvio Berlusconi", in El País Semanal, n. 1360, domenica 20 ottobre 2002. Pérez Nuiz è un personaggio della trilogia Il tuo volto domani: insieme al protagonista Jacques Deza fa parte di un gruppo di "traduttori" o "interpreti" di persone che hanno il compito di stilare rapporti per i servizi segreti britannici in cui descrivono gesti, comportamenti, inclinazioni e carattere delle persone.

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martedì, dicembre 21, 2010

Forse un oltraggio

Lasciamo troppe cose messe in movimento e la loro inerzia così debole ci sopravvive: le parole che ci sostituiscono e che talvolta qualcuno ricorda o trasmette, non sempre confessandone la provenienza; le lettere levigate e le fotografie incurvate e le note lasciate su una carta gialla a colei che va a dormire sola dopo gli abbracci desti, perché ce ne andiamo di notte come miserabili di passaggio; gli oggetti e i mobili che sono stati al nostro servizio e con i quali siamo stati in contatto – una sedia rotta, una penna, una scena indiana, un soldatino di piombo, un pettine –, i libri che abbiamo scritto ma anche quelli che abbiamo soltanto comprato e che una volta abbiamo letto o che sono rimasti rinchiusi fino alla fine nel loro scaffale e proseguiranno rassegnati in un altro posto la loro vita di attesa in attesa di altri occhi più avidi o tranquilli; i vestiti che rimarranno appesi tra la naftalina perché forse qualcuno addolorato si impegnerà a conservarli – anche se non so se c'è la naftalina, le stoffe scolorando e illanguidendo e senz'aria, dimenticando ogni giorno di più le forme che davano loro un senso, e l'odore di quei volumi –; le canzoni che si continueranno a cantare quando noi non le canteremo né le canticchieremo né le ascolteremo, le strade che ci accolgono come se fossero interminabili corridoi e dimore che non badano ai loro inquilini effimeri e commutabili; i passi che non si possono riprodurre e non lasciano traccia sull'asfalto e sulla terra si cancellano, o no, quei passi non rimangono ma vengono via con noi o anche prima, con la loro innocuità o con il loro veleno; e le medicine, la nostra grafia frettolosa, le foto amate che teniamo in vista e che non ci guardano più, il cuscino e la nostra giacca appoggiata su una spalliera; un casco coloniale venuto da Tunisi negli anni Trenta a bordo della nave Ciudad de Cádiz ed è di mio padre e ancora conserva il soggolo, e quel servitore indù di legno dipinto che ho appena portato a casa con una certa esitazione, a sua volta durerà più di me quella figura, probabilmente. E le narrazioni che abbiamo inventate, di cui si approprieranno gli altri, o parleranno della nostra passata esperienza perduta e mai conosciuta facendoci così diventare fittizi. Persino i nostri gesti li continuerà a fare qualcuno che li ha ereditati o li ha visti e senza volere è stato mimetico o li ripete di proposito per invocarci e creare una curiosa illusione di momentanea vita vicaria nostra; e forse si conserverà isolato in un'altra persona qualcuno dei nostri tratti che avremo trasmesso involontariamente, con civetteria o come maledizione incosciente, perché i tratti portano a volte la buona ventura o disgrazie, gli occhi orientaleggianti e le labbra come se fossero dipinte – «bocca a pizzo, bocca a pizzo» –; o il mento quasi separato, le mani larghe e nella sinistra una sigaretta, non lascerò nessun tratto a nessuno. Perdiamo tutto perché tutto rimane, tranne noi. Per questo ogni forma di posterità forse è un oltraggio, e magari lo è anche allora ogni ricordo.

Javier Marías, Nera schiena del tempo, Torino, Einaudi, 2000. Traduzione di Glauco Felici.