martedì, aprile 29, 2008

Come J.R. ha vinto la Guerra Fredda (sì, vi piacerebbe)

... non so rendervi il senso di liberazione che Dallas ebbe dalla morale progressista. Si fottessero le balene, la pace nel mondo, la giustizia sociale, la solidarietà, voglio la macchina con le corna di mucca davanti.
(Fjodor, aprile 2008)


- Lina.
- Elio.
- Sii la mia Suerli, sarò il tuo Geiart.
(Dal Grande Libro della Famigliamir, 1982 ca.)


Pomeriggio un po' così. Tempo, un po' così.
È una di quelle settimane che finiscono di mercoledì.
Stai lavorando stancamente al computer.
Caffè: già preso.
Pausa sigaretta: andata.
Sito di Repubblica, comprese Gallery: guardato.
Ti stai dicendo che in questo momento ci vorrebbe un blog, magari anche di sinistra, però astenersi arcobaleno. Confinario, bene. Filorusso, perché no. Magari anche quel pochino anarchista. No lit, un po' chick, lievemente žižek, ma che non si noti troppo.
Che ti facesse il riassuntino di un pezzo platealmente celebrativo del Washington Post su Dallas. Intesa come serie televisiva: J.R., quel povero gnampolo di Bobby, le strane proporzioni di Lucy, le sbronze di Sue Ellen, il fisichetto di Victoria Principal, la definitiva consacrazione delle spalle imbottite e del pantalone a vita alta che fecero di noi comparse inconsapevoli di un brutto film sulla vita in un circo.

Fermati. Quel blog sono io.

Domenica scorsa è uscito questo pezzo di Nick Gillespie e Matt Welch, "Come Dallas ha vinto la guerra fredda". Riassumo.
Un minuto di silenzio per il trentesimo anniversario di un fondamentale e ingiustamente dimenticato punto di svolta nella lunga lotta tra il comunismo e il capitalismo. Un evento in tutto e per tutto importante quanto i discorsi di Reagan e la fuga a Ovest di Smirnov: il primo episodio di Dallas, la soap opera che fece tremare il mondo.

Nell'aprile del 1978 gli Stati Uniti volsero per la prima volta il loro amorevole sguardo a Southfork Ranch e al genio diabolico di J.R. Ewing (Larry Hagman): una caricatura tutta sesso e alcol della libera impresa e di uno stile di vita executive che si dimostrò irresistibile non solo per gli americani stagflazione-consapevoli ma anche per gli spettatori di mezzo mondo, dalla Francia all'Unione Sovietica alla Romania di Ceausescu.

Dallas non era semplicemente un programma televisivo ma una forza culturale in grado di cambiare il clima dell'epoca. Durò quasi quanto il secondo fegato di Larry Hagman e contribuì a definire gli anni Ottanta come il "glorioso decennio dell'avidità", aprendo la strada all'epoca del capitalismo fico, peraltro turbata da una serie di dilemmi morali. Dallas divenne il primo o il secondo programma più visto negli Stati Uniti per mezzo decennio: fece capolino nelle canzoni degli Abba e nei video di Ozzy Osbourne, partorì lo spin-off California e ispirò analisi accademiche come Homère et Dallas: Introduction à une Critique Anthropologique, di Florence Dupont.

Dopo tutta una serie di icone controculturali poco ironiche Dallas creò un nuovo archetipo dell'antieroe che amavamo odiare e odiavamo amare: un magnate che non fa che manipolare uomini politici, tradire la moglie bevandela e combinarne di cotte e di crude alla sua famiglia ostinatamente leale. E per quanto i vari traduttori sottolineassero la cattiveria di J.R. e del suo ambiente sociale ("Dallas, universo spietato!" diceva il testo della canzone francese), gli spettatori dei quasi 100 paesi che divorarono la soap - compresi quelli del Patto di Varsavia - si convinsero che anche loro meritavano di possedere auto grandi come barche e una piscina delle dimensioni di un piccolo castello.

Si narra che Stalin abbia fatto proiettare in Unione Sovietica il film americano del 1940 Furore per mostrare i danni del capitalismo sulla vita delle persone. I russi però guardavano le scene finali del film e si meravigliavano che negli Stati Uniti anche i poveri possedessero automobili. Dallas funzionava in modo simile.
E qui, citazione cult:
"Penso che siamo stati direttamente o indirettamente responsabili per il crollo dell'impero [sovietico]", ha detto Hagman alla Associated Press una decina d'anni fa. "Vedevano quei ricconi degli Ewings e dicevano 'Ehi, non non ce l'abbiamo, tutta quella roba'. Penso che sia stata la cara vecchia avidità a portarli a mettere in discussione il potere".
Vabbe', ma allora, se dobbiamo tirar fuori Ceausescu:
In Romania Ceausescu era convinto che Dallas fosse abbastanza anti-capitalistico da poter essere mandato in onda. Quando cambiò idea era troppo tardi: aveva già comprato tutto il ciclo. Nel frattempo il programma forniva un'alternativa lussuosa a un comunismo che costringeva le persone ad aspettare più di dieci anni per acquistare un catorcio di macchina.
Dopo l'esecuzione del dittatore e di sua moglie, il Natale del 1989, il pilot di Dallas - nel quale era stata ripristinata una scena di sesso precedentemente censurata - fu uno dei primi programmi stranieri trasmessi dalla tv romena. Negli anni successivi Hagman divenne il testimonial di varie compagnie come la russa Lukoil ("La scelta di un vero texano").

Ancora oggi è possibile visitare un perfetto ranch "SouthForkscu" nella speduta cittadina romena di Slobozia. O il set originale di Plano, Tex., frequentato almeno quanto il Deposito di Dallas dove Lee Harvey Oswald si nascose per sparare a Kennedy nel 1963.
Bene, adesso passiamo alla visione delle masse:
L'impatto di Dallas sulla visione delle masse ci ricorda che la cultura popolare "volgare" che gli accademici di destra e sinistra amano odiare è importante quanto la politica impegnata nel produrre i cambiamenti sociali: i prodotti culturali usa e getta influenzano la cultura in modi incontrollabili e imprevedibili.

Questa lezione è più che mai rilevante in un mondo sempre più globalizzato. Nonostante tutto questo parlare di boicottaggi e di bombe, se gli Stati Uniti sono interessati a diffondere i valori e la cultura americani, un po' di tivulandia può fare ben più dei carrarmati.

E non dimentichiamo come Dallas ha contribuito a plasmare il nostro mondo. Sarebbe troppo dire che ha reso possibile l'ascesa di George W. Bush, ma è certo che ha contribuito a spostare il centro della cultura americana dalle coste all'interno, decentralizzando le élite del potere sociale e politico. I presidenti texani possono essersi dimostrati catastrofici per il paese, ma rappresentano un paese meno ingessato e stratificato.
Esiterei a vantarmene, comunque eccovi la lezione del self-made man nella terra del big oil e dei cappelli a tesa larga:
Dallas aggiornava al presente l'autobiografia di Benjamin Franklin, offrendo un bella guida su come andavano davvero le cose e mettendo nuovi desideri alla portata delle masse. Demistificando la produzione della ricchezza - con abbastanza sesso, scandalo e whisky da annegare il comunismo, qui e all'estero - Dallas stimolò la nostra economia politica nazionale almeno quanto i tagli alle tasse reaganiani.
Purtroppo, come Gorbačëv, Dallas non sopravvisse alla fine della Guerra Fredda che contribuì a produrre, uscendo di scena con l'ultimo primo ministro sovietico nel 1991. Però ci ha lasciati più ricchi di quanto abbiamo mai osato sognare.
Dicono loro. Ho usato i rientri perché non pensiate che siano idee mie.
Ora: che Dallas abbia avuto moltissimi fans nei paesi del Patto di Varsavia che lo acquistarono (da autentici sprovveduti) è vero. E il fatto che il suo antieroe fosse così ironicamente spietato poteva farlo sembrare una critica al capitalismo, vero anche questo.

Ciò detto: perché i due autori dell'articolo hanno l'aria fiera, sgaia e consapevole di quelli che hanno appena costruito il Canale di Suez? Dallas avrà anche dato una spinta decisa alle ambizioni consumistiche di mezzo mondo città di G. compresa (i machinòni! le babe!), ma l'idea che la cultura popolare sia un efficace mezzo per veicolare e diffondere valori o stili di vita (mica solo quelli del libero mercato) non se la sono mica inventata loro. (Non solo la cultura popolare, tra l'altro, ma anche - e in modo consapevole e organizzato - quella accademica e 'alta': negli anni della guerra fredda gli Stati Uniti destinarono grandi risorse al finanziamento di istituti, musei, biblioteche, conferenze, mostre, concerti: era la strategia della guerra fredda culturale che è stata ben documentata da Frances Stonor Saunders nel suo Gli intellettuali e la CIA).
E comunque, signori del WaPo, guardate che gli ex-sovietici hanno tutto un patrimonio di citazioni e riferimenti a un sistema altro di espressione popolare (cinema, fumetti, musica) altrettanto pervasivo, non meno sentito e non esclusivamente propagandistico. Finisce sempre che mi pensate in piccolo.

Dallas vi avrà cambiato la vita a voi, per il resto (cioè, modestamente, il disastro) sarebbero bastati una buccia di banana, oppure del chewing-gum sotto le nostre povere suole di plastica, o anche solo i soldi della CIA.

p.s. Voi ve lo ricordate quel motivetto da balera che era la sigla italiana delle prime serie: "Com'è grande l'A/com'è grande l'A/me-ri-ca! ehi ehi ehi ehi/".
Ve lo ricordate?
Al mio tre, dimenticatelo.
Uno.
Due.
Tre.
Liberi.

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