lunedì, giugno 14, 2004

Quasi una dichiarazione

Caro Ales,

prima del calcio d'inizio vorrei dirti questo: sarà perché ho qualche parente dalle parti di Conegliano, ma dove altri vedono una faccia così così io vedo uno dei miei cugini più piccoli che sgambavano sui campetti nei pomeriggi d'estate, lasciandomi ad arrancare sulla fascia sinistra impedita da ciccia e fiatone. Quest'aria di famiglia fa sì che ti perdoni tutto: il Cepu, i passeri, il sito aziendale e perfino le compilation dance. Non prendertela: ai Mondiali e agli Europei è sempre andata così, saranno la stanchezza, la sfortuna, il peso psicologico, i dualismi di maniera.
Parolacce, dinne pure; evita invece di caricare la squadra come fai sempre in questi casi, non ho sotto mano le statistiche ma ho l'impressione che porti sfiga. Lo dico con rispetto, e con un campionato difficile alle spalle in cui abbiamo sistematicamente perso tutto. Tu mi capisci.
Dice Javier Marías che il calcio è un'attività in cui bisogna vincere sempre, in ogni stagione, in ogni torneo e partita. Altri, gli scrittori, gli architetti e i musicisti, possono ogni tanto prendersela un po' comoda. Nel calcio, invece, non c'è posto per il riposo né per il divertimento, a poco servono i precedenti gloriosi. Eppure, bisogna anche riconoscere "che ha qualcosa di non definibile e che non si trova di solito negli altri ordini della vita: incita all'oblio, il che equivale a dire che non incita mai al rancore, una cosa che si impara soltanto in età adulta".
Vada come vada, Ales, pensa a non farti male, arma il tuo migliore e imperioso battito di ciglia e fammi divertire. Io il rancore non l'ho ancora imparato.

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